E se scoprissi che tutto il lavoro che hai fatto per confezionare gli ad video YouTube migliori e soprattutto quello che paghi a Google sono tempo e soldi sprecati?
La società della grande G si è affrettata a pubblicare sul proprio blog ufficiale un post che ha come oggetto gli spazi ad video e il sistema dei cosiddetti Google Video Partners, ovvero un programma in cui siti che non sono YouTube mostrano gli ad che i business decidono di utilizzare per aumentare la propria visibilità.
E, sempre stando al post sul blog ufficiale di Google, la scelta di mandare i propri ad video non su YouTube ma su questi partner in base anche allo scopo della eventuale campagna che si è avviata rimane sempre in mano agli utenti. E addirittura c’è la possibilità di evitare app, siti e URL specifici su cui non si vuole apparire. Per quello che riguarda la qualità degli spot che vengono usati sia su YouTube sia su questi siti e app di terze parti è sempre controllata e gli spazi funzionano in oltre il 90% dei casi.
A riprova dell’attenzione che Google mette anche per i video YouTube e non solo la società sottolinea come nel solo 2022 siano stati eliminati dal programma Google Video Partners oltre 140 mila siti perché violavano le policy interne di Google e del programma Video Partners. Ma perché tutto questo bisogno di sottolineare che Google tiene ai brand che decidono di pagare per avere i propri video presentati su YouTube e su altre piattaforme?
La reazione della società della grande G è arrivata dopo che i colleghi del Wall Street Journal hanno riportato i dati raccolti da una società di ricerca. Dati che sconfesserebbero tutti i buoni propositi di Google e che hanno quindi costretto la società a ribadire che a quanto pare niente di ciò che è stato inserito in questo fantomatico report corrisponde al vero.
Ma ormai il danno è fatto e, soprattutto per capire dove si trovi la verità, è il caso anche di esaminare che cosa sembra essere saltato fuori dal report di Adalytics. Il report si concentra sugli ultimi tre anni e in particolare sul sistema del cosiddetto TrueView ovvero proprio il sistema che Google rende disponibile ai brand e agli utenti che vogliono farsi pubblicità attraverso YouTube con i video e non solo. Quello che è emerso dal report di Adalytics è che, per esempio, buona parte proprio degli spazi video YouTube per cui brand hanno pagato si sono realizzati al di fuori di YouTube e soprattutto su migliaia di siti e all’interno di app per le quali “l’esperienza del consumatore non raggiungeva gli standard qualitativi indicati da Google“.
Un esempio tra i tanti riguarda i video in-stream presentati senza audio e senza la possibilità di poter essere controllati. Una situazione in aperto contrasto con le policy di YouTube e Google che invece chiariscono che i video YouTube e sui siti di terze parti che sono pubblicità devono poter essere con un audio valido, devono poter essere saltati e soprattutto devono essere avviati da una qualche azione compiuta dall’utente.
E invece a quanto pare persino per le società che si trovano nella famosa classifica Fortune 500 una media del 50% del denaro speso per il TrueView in-stream è stato speso su siti che non rispondono agli standard di Google. Si tratta di una situazione piuttosto spinosa e anche se Google sta cercando in tutti i modi di convincere il proprio pubblico pagante che i dati raccolti sono stati raccolti con una metodologia errata, sarà difficile ora riguadagnare la fiducia e quindi il denaro di molti partner. In generale, comunque, il report permette di riflettere su quanto strada ancora occorre fare perché anche il mondo della pubblicità digitale sia più trasparente e potrebbe per questo essere la spinta che mancava.
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