Google Ads è il sistema attraverso cui Google gestisce gli spazi pubblicitari che vende e con cui si possono organizzare le campagne pubblicitarie.
Con una email che è arrivata qualche giorno fa, la società della grande G ha però annunciato supplementi aggiornati per gli annunci pubblicitari in tre Paesi: Italia, Spagna e Turchia. Nella email che è stata inviata si comunica semplicemente che questi, che vengono chiamati “costi operativi di natura regolamentare“, sono stati inseriti per “coprire una parte dei costi associati alla conformità alle normative“.
Cerchiamo quindi di capire quali sono queste normative che hanno aumentato i costi delle campagne Google Ads già in passato. E andiamo a vedere anche come si comportano in ottemperanza alle stesse normative altri colossi come Apple e Amazon.
Se hai ricevuto anche tu l’email che riguarda i supplementi aggiornati per gli spazi Google Ads ti sarai accorto che gli aumenti partono il primo luglio. Si tratta questo di un modo tradizionale con cui si gestiscono gli aumenti alle tariffe. Gli utenti devono avere il tempo materiale di calcolare ciò che succederà e di prendere quindi le decisioni relative.
Nel messaggio si chiarisce che i ritocchi all’insù riguardano l’Italia, per cui si passa al 2,5% dei costi operativi contro il 2% che veniva calcolato prima, per la Spagna si passa al 3% rispetto al 2% e per la Turchia addirittura si passa al 7% rispetto al 5% che era il supplemento introdotto nel 2021. Per comprendere la natura degli aumenti occorre effettivamente fare riferimento alla strategia che la società della grande G ha avviato proprio nel 2021.
A luglio di quell’anno, infatti, era stata inviata una email molto simile a quella che adesso stanno ricevendo gli utenti, in cui si chiariva che a partire dal primo ottobre di quello stesso anno la società avrebbe aggiunto un 2% circa di costi operativi di natura regolamentare. I Paesi coinvolti da questa novità erano in tutto sette: Austria, Francia, Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito. L’introduzione di questo sovrapprezzo si era reso necessario, veniva chiarito nella comunicazione, proprio per permettere di essere in linea con le leggi introdotte riguardo le nuove Digital Tax.
Quello che non è cambiato è il modo in cui i supplementi vengono calcolati e come vengono inseriti nella fattura o nell’estratto conto. C’è da notare un dettaglio che sembra una inezia ma che invece è fondamentale: la tassa con il supplemento viene calcolata non in base alla nazione in cui si trova la società che acquista gli spazi Google Ads ma il Paese in cui la campagna pubblicitaria viene acquistata.
Se quindi per esempio sei in Italia ma la tua società compra spazi pubblicitari solo in quei Paesi in cui non è stata ancora introdotta nessuna Digital Tax, il supplemento non ti riguarda. Con una formula uguale e contraria se la tua società ha sede in un Paese in cui tecnicamente non è presente nessuna forma di Digital Tax ma acquisti spazi Google Ads per l’Italia ti verranno addebitati i supplementi.
Per il nostro Paese le normative introdotte sono quelle riportate sul sito di Agenzia delle Entrate che chiamano l’imposta: “imposta sui servizi digitali”. Si tratta di una tassa che “riguarda la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai gestori di tali piattaforme, e anche la trasmissione di dati “presi” dagli utenti”.
Negli altri Paesi che hanno adottato questo genere di normativa la sostanza non cambia. Lo scopo è quello di tassare le attività che si svolgono online e che fino all’introduzione delle prime web tax del 2019 rimanevano attività al di fuori delle regole dal punto di vista della tassazione. L’idea dei legislatori era quella di far pagare le grandi società ma queste a loro volta sembrano aver trovato un altro modo per ottemperare alle richieste: far pagare chi usa i loro servizi.
L’incremento dei supplementi potrebbe avere ripercussioni ma, a ben guardare, non c’è solo Google che ha deciso di introdurre questo genere di supplemento per controbilanciare le richieste che gli sono fatte dalle autorità nazionali. Per esempio Amazon si è mossa già nel 2020, subito dopo che il Regno Unito aveva promulgato la sua Digital Tax e aveva chiarito da subito che questa tassazione sarebbe stata applicata direttamente agli utenti che avrebbero utilizzato i servizi della piattaforma per vendere e per avere la propria pubblicità. Sempre Amazon nel 2019 aveva applicato la stessa tassa del 3% anche ai venditori francesi. Apple, da parte sua, invece ha deciso di applicare ciò che gli viene chiesto in termini di normativa agli sviluppatori in Francia, Italia, Regno Unito e Turchia rosicchiando parte dei guadagni.
La posta elettronica è uno strumento ormai imprescindibile in qualunque strategia di marketing ma configurare…
Su internet si trova di tutto e tu stai cercando idee per i tuoi contenuti.…
Qualunque sito viene pubblicato non vive nel vuoto pneumatico del suo server. La rete è…
I servizi per accorciare link sono molto diffusi. Tanti siti web fanno affidamento su plugin…
Come costruire credibilità, incrementare la visibilità e far crescere i profitti attraverso un sito web.…
Hai un errore nella tua Bacheca WordPress relativo alla versione PHP? Non ti preoccupare, lo…