Il modo in cui gli utenti un domani faranno ricerche online potrebbe cambiare drasticamente.
All’orizzonte per Google infatti si profila l’ombra del nuovo prodotto di OpenAI: si chiama Search GPT, è ancora in fase di prova ma risulta decisamente interessante per il modo in cui si approccia a quelle che sono le necessità di chi fa ricerche online e come tenta (vedremo poi con l’utilizzo reale se ci riuscirà) di risolvere i dubbi più grossi che al momento tanti hanno nei confronti dell’intelligenza artificiale applicata alla ricerca online.
Search GPT arriva, tra l’altro, in un momento molto particolare proprio per Google, che si trova con una sentenza che ne certifica nero su bianco il monopolio. Per essere preparati al futuro vediamo quindi quello che c’è da sapere riguardo Search GPT, come funziona, cosa ci si può aspettare da lui e anche il modo in cui OpenAI lo sta proponendo non tanto agli utenti finali quanto ai creatori di contenuti.
Forse anche senza la sentenza americana che sancisce che esiste un monopolio da parte di Google e che questo monopolio nella ricerca è illegale, abbiamo tutti bene o male avuto l’impressione che questo sia il modo in cui tutti o quasi facciamo ricerche online.
Nello spazio della ricerca, Google occupa effettivamente buona parte di quello che c’è a disposizione anche se non è di certo l’unico motore di ricerca. E ben presto nella ricca selva di suoi competitor arriverà ufficialmente anche Search GPT, il nuovo prodotto che OpenAI sta testando e che dovrebbe, sono parole della stessa società, cambiare il modo in cui si fanno le ricerche online attraverso “il miglioramento delle capacità conversazionali” dei modelli LLM, uniti alle “informazioni in tempo reale dal web“. Il risultato secondo OpenAI sarà quello di riuscire a trovare le risposte “in modo più veloce e più facile“.
Perché finora il grande limite dei modelli di intelligenza artificiale nell’esperienza dei comuni mortali è stato proprio quello di non essere in grado di lavorare con quello che sta accadendo nel momento in cui accade. Ad approcciare questa necessità ci stanno provando Bing con i suoi superpoteri e le nuove AI Overview di Google.
Ma sappiamo bene che, per esempio proprio i riassunti dell’intelligenza artificiale di Google hanno avuto più di qualche problema e che adesso la società sembra avere intenzione di limitarne le apparizioni, sperando di poter insegnare a Gemini a distinguere l’ironia dalle informazioni reali (good luck, Google!).
Per quello che riguarda Bing, la sua ricerca con i super poteri si appoggia ai servizi offerti da Copilot e a tutto ciò che il motore di ricerca di Microsoft sa già fare. Copilot come motore di ricerca risponde in maniera piuttosto completa, anche se occorre comunque stare attenti alle allucinazioni.
Quello che può fare Search GPT è ancora tutto da vedere e di certo una delle questioni da risolvere sarà proprio quella delle eventuali allucinazioni nonostante la possibilità di andare a guardare online. Ma facciamo un passo indietro e proviamo a guardare da vicino a come dovrebbe essere una ricerca con Search GPT , cercando di confrontarla con quello che succede adesso con Google e con quello che offrono Copilot e Bing.
La prima differenza, che si nota anche solo dalle gif animate nell’annuncio ufficiale pubblicato da OpenAI, rispetto a una chiacchierata con ChatGPT, è il fatto che appaiono una quantità superiore di immagini. L’altra differenza è che quello che viene proposto non è un unico testo ma una sorta di comodo elenco puntato, in cui quelle che potrebbero essere le risposte alla domanda che viene fatta sono dotate di un riassunto di poche parole che ne chiarisce la presenza.
Se ti è mai capitato di interfacciarti con ChatGPT è già qualcosa che avvicina molto di più l’esperienza a una ricerca classica. E che assomiglia, guarda caso, a quello che succede se si fa una ricerca chiedendo qualcosa a Copilot. Anche per l’intelligenza artificiale di Microsoft Bing i risultati sono organizzati in un elenco puntato, anche se mancano le immagini. Come Search GPT, anche Copilot elenca le fonti da cui sono state prese le informazioni e, se sono rilevanti, aggiunge anche video.
Quello che offre OpenAI non è quindi una novità di per sé.
Ciò che può rendere molto interessante il nuovo servizio di OpenAI è la tempistica e l’approccio che la società sembra stare organizzando nei confronti di chi produce i contenuti che vengono rimasticati dall’intelligenza artificiale a favore di popolo.
Un punto debole che sinora nessuno è riuscito a risolvere degnamente. OpenAI, sempre nell’annuncio ufficiale, per esempio chiarisce che la società è “intenzionata a creare un ecosistema favorevole per gli editori e i creatori”.
E a proposito di dare spazio e riconoscimento, è altrettanto interessante la frase subito dopo quella che abbiamo appena citato: “speriamo di aiutare gli utenti a scoprire siti di editori ed esperienze, e allo stesso tempo portare più scelta nella ricerca. Per decenni, la ricerca è stato un modo fondamentale per gli editori e i creatori di raggiungere gli utenti. Ora, stiamo usando l’intelligenza artificiale per migliorare questa esperienza evidenziando i contenuti di alta qualità in una interfaccia conversazionale con diversi modi per gli utenti di interfacciarsi“.
Il guanto ufficiale di sfida a Google, al suo monopolio, e potremmo anche dire al suo modo (vecchio?) di comporre le ricerche è stato lanciato. Si tratta da parte di OpenAI di una scelta che se non è obbligata ci si avvicina molto: del resto sono ancora moltissimi i creativi che vedono proprio nello sviluppo dei modelli di intelligenza artificiale, in particolare dell’intelligenza artificiale generativa, un attacco diretto alla propria stessa sopravvivenza e sono sempre di più le società che pensano di poter sostituire gli esseri umani in blocco con i modelli linguistici, generando panico e instabilità.
Farsi vedere in qualche modo amici di chi dovrebbe fornire i contenuti (OpenAI chiarisce che non c’è proprietà transitiva verso ChatGPT) può avere un impatto positivo sull’opinione pubblica nel suo complesso.
La presentazione ufficiale del nuovo servizio Search GPT è di certo interessante, soprattutto perché vengono anche nominate alcune delle grandi società che hanno deciso di stringere accordi con OpenAI. Tra queste ci sono per esempio News Corp, Reuters, Le Monde, Financial Times e Associated Press tanto per citare i nomi più famosi a livello planetario.
Ma, proprio perché il servizio non è ancora disponibile per tutti e perché abbiamo imparato a diffidare, restano moltissime domande a cui OpenAI dovrà rispondere in maniera convincente se effettivamente vuole scalfire lo strapotere di Google e del suo motore e modello di ricerca.
Una questione che andrà quindi chiarita è per esempio quella relativa al modo in cui verranno scelte le fonti e le informazioni da fornire. In pratica, se ci sarà un qualche tipo di censura che, come un bravo cane pastore, guiderà senza farsi notare le ricerche verso alcuni siti piuttosto che verso altri. Online è soprattutto questa la paura di tanti: gli accordi che OpenAI ha stretto e che potrebbe stringere che si traducono in risposte che arrivano sempre dalle stesse fonti.
E oltre al problema più stringente riguardo il modello di ricerca, ci sono poi ancora le questioni che ci portiamo dietro, e che vanno risolte e non lasciate sotto il tappeto, delle implicazioni dell’utilizzo dei modelli di intelligenza artificiale allenati su materiale grattato via in Rete senza che ci sia stata da parte dei produttori di quel materiale una scelta consapevole.
Alle questioni etiche si uniscono da ultime quelle relative all’utilizzo delle risorse energetiche, di cui non si parla mai a sufficienza. Avere una intelligenza artificiale che funziona e che risponde alle domande significa avere sempre attivi computer delle dimensioni di interi quartieri che consumano energia come fossero razzi spaziali sempre in rampa di lancio. Chi produce questa energia elettrica? Da dove viene? Quanto inquina? Domande che non possiamo certo fare a una IA.
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