Andando a guardare sul sito ufficiale di WordPress viene data una definizione del software: Open Source. Ma che significa quando qualcosa è Open Source?
Una domanda che vale la pena affrontare soprattutto alla luce dei recenti sviluppi legislativi portati avanti all’interno dell’Unione Europea. I legislatori dell’UE hanno infatti messo a punto il Cyber Resilience Act .
Si tratta questa di una proposta di legge che ha al suo interno molte idee buone ma che forse, per alcune definizioni specifiche, suscita preoccupazione tra le società che promuovono e lavorano all’interno dell’Open Source. Per questo motivo, per comprendere meglio quali sono le rimostranze giuste di società come WordPress e Drupal, vediamo che cosa significa realmente quando un pezzo di software è Open Source e perché non andrebbe mai confuso con l’idea di software free o gratis.
Nella sua definizione più da vocabolario, un software Open Source è un software il cui codice sorgente non è nascosto da nessuna parte ed è per questo raggiungibile ma soprattutto modificabile da chiunque. Ma, andando a guardare sul sito Open Source initiative, già nella introduzione riguardo la definizione di che cos’è l’Open Source si chiarisce che non si tratta solo di codice sorgente: “i termini della distribuzione del software Open Source devono essere rispondenti con i seguenti criteri“.
E nei criteri ci sono alcune voci che chiariscono esattamente quanto in realtà Open Source sia una definizione lontana dall’idea di software gratuito. Perché un software gratuito può non essere Open Source e un software Open Source può non essere del tutto gratuito. Tra i criteri che contraddistinguono questo genere di software c’è la “ridistribuzione libera“. La definizione sul sito ufficiale Open Source.org utilizza la parola “free” ma non si tratta di gratis come verrebbe da pensare. Perché basta leggere le tre righe che compongono il paragrafo per comprendere che in realtà un software Open Source può tranquillamente essere inserito all’interno di un qualunque pacchetto e messo in vendita e che “la licenza non deve richiedere una royalty o qualunque altro tipo di pagamento per questa vendita“.
La differenza più evidente con il software gratis è che per gli Open Source occorre che sia reso disponibile non solo il pacchetto compilato che si scarica, si installa e si lancia ma anche il codice sorgente che deve poter essere esaminato e modificato e la licenza deve permettere che anche questo lavoro modificato possa a sua volta essere messo in condivisione. Nella definizione si parla di “lavoro derivato“. Tra i molti elementi che compongono la licenza Open Source uno che risulta decisamente affascinante è quello che la licenza debba essere “tecnologicamente neutrale“, ovvero che il software non deve essere basato né radicato su una particolare interfaccia o su una tecnologia specifica.
Il software Open Source è forse uno di quelli che sta godendo della salute migliore negli ultimi anni. E una dimostrazione è forse proprio la community che continua a crescere intorno a progetti come WordPress. E WordPress è anche un esempio del fatto che questo genere di software è aperto e gratuito in alcuni componenti mentre altri, che servono a tenere in piedi la struttura che del codice si occupa, sono invece a pagamento.
Ma niente vieta a nessuno di entrare dentro il codice di WordPress e cambiarlo in modo da poter avere una versione funzionante per i propri bisogni. Allo stesso modo, per esempio, funzionano i sistemi operativi come Linux. Uno di quei sistemi operativi nati come reazione ai sistemi chiusi Microsoft e Apple. Qualcosa che, ancora si ricorda, all’inizio era sembrato tutto uno scherzo. Uno scherzo che però al momento conta 32,8 milioni di utenti in tutto il mondo, il 2,67% della popolazione mondiale tra quelli che possiedono un PC desktop o laptop. Un numero piccolo ma che ha un potenziale di crescita importante, soprattutto perché il modo in cui adesso Linux parla con gli utenti è estremamente molto più user friendly e può andare quindi anche là dove vivono gli utenti un po’ più restii.
Esattamente come tutto l’altro software Open Source, le possibilità sono infinite. Il software Open Source è per sua stessa natura agile e questa agilità è data dal fatto che più sviluppatori possono lavorare insieme andando a scartabellare sulle stesse stringhe di codice e proponendo le proprie soluzioni senza che ci sia qualcuno dall’alto che fa calare una nuova versione come un deus ex machina greco.
La nostra riflessione su che cosa significa Open Source, e sul fatto che non sempre può andare a braccetto con la definizione di software gratuito, ci riporta lì dove eravamo partiti: il Cyber Resilience Act. All’interno viene data una definizione per esempio di software non finito e, data proprio la stessa natura del software Open Source, tutti i progetti come WordPress, Joomla e Ttypo3 potrebbero finire con l’etichetta di software non finiti dato che sono un cantiere sempre aperto in cui il miglioramento prosegue senza soluzione di continuità.
L’idea che si possa quindi dare al software Open Source la stessa etichetta dei software che vengono lanciati in beta per vedere come va o per lasciare che il software dimostri le proprie capacità o i propri limiti prima di affinarlo rischia di mettere in crisi proprio tutta la community che intorno alle esperienze come WordPress e Drupal si sono create. L’Open Source vive perché ci sono programmatori, ma non solo, che decidono di aprirsi e di condividere.
Il rischio che la legislazione europea assimili l’Open Source alle beta o che renda il modello di business che l’Open Source ha creato, e che un po’ come il software che rappresenta è vario e variegato e adattato alle necessità delle varie società, è il rischio di un rallentamento nello sviluppo di una community che invece potrebbe essere la chiave di volta per gestire non solo il software di domani ma il mondo di domani: tutti insieme, ognuno con il proprio contributo. Dal mondo del software può venire una lezione per affrontare altre tematiche, prima fra tutte quella del clima in cui, come in un software che va aggiustato tutti insieme, occorre che ci sia un impegno collettivo e non aspettare che qualcuno dall’alto cali una patch.
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