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Tempo di permanenza, frequenza di rimbalzo, click: quanto contano davvero questi segnali utente per la SEO? Analizziamo il loro reale impatto come fattori di ranking di Google e sfatiamo qualche mito.
Quando si parla di SEO, spesso vengono citati i “segnali di coinvolgimento” (user engagement signals) come indicatori importanti per l’algoritmo di Google. Ma qual è la verità? Google li usa davvero come fattori di ranking diretti? E, soprattutto, cosa significa questo per chi gestisce un sito e vuole migliorarne la visibilità?
Dopo aver esplorato i principi fondamentali della SEO, in questo articolo cercheremo di fare chiarezza, analizzando il ruolo di questi segnali utente nel complesso ecosistema della Searc Engine Optimization, distinguendo tra ciò che è confermato, ciò che è probabile e cosa invece rischia di essere un’interpretazione fuorviante. L’obiettivo è capire dove concentrare realisticamente i nostri sforzi per ottenere risultati concreti.
Quando parliamo di segnali di coinvolgimento (o segnali utente), ci riferiamo a una serie di metriche e comportamenti che descrivono come gli utenti interagiscono con un sito web, sia sulla pagina dei risultati di ricerca (SERP) sia sulle pagine del sito stesso:
È importante notare che Google ha accesso diretto ad alcuni di questi dati (le interazioni sulla SERP, dati aggregati e anonimizzati da Chrome), mentre altri (come il Bounce Rate o il Tempo sul Sito dettagliato) provengono primariamente da strumenti di analytics installati sul sito (come Google Analytics).
La posizione ufficiale e ripetuta da Google è che metriche specifiche provenienti da Google Analytics, come il Bounce Rate o il Time on Site, non sono usati come fattori di ranking diretti.
Le ragioni sono valide: queste metriche sono troppo “rumorose”, facilmente manipolabili e il loro significato dipende enormemente dal contesto della pagina e dell’intento dell’utente (per esempio, un bounce rate alto su una pagina di contatto dove si trova subito un numero di telefono è un segnale positivo, non negativo!).
Google afferma di concentrarsi primariamente su fattori come la qualità dei contenuti, l’autorevolezza dei link, l’E-E-A-T, ecc. Tuttavia, questo non significa che il comportamento degli utenti sia irrilevante per Google. Le sfumature sono importanti:
Spesso ci si chiede se contino di più i segnali utente o i fattori on-page “classici”. La realtà è che non sono in competizione, ma profondamente interconnessi.
Una SEO on-page eccellente, contenuti di altissima qualità che rispondono perfettamente all’intento di ricerca, una struttura tecnica solida, una buona autorevolezza (E-E-A-T) e una navigazione fluida sono le cause che portano a segnali di coinvolgimento positivi. Se il contenuto è mediocre, il sito è lento o difficile da usare, gli utenti non rimarranno coinvolti, indipendentemente da qualsiasi “trucco”.
Pertanto, l’obiettivo non dovrebbe essere ottimizzare le metriche di engagement in sé, ma migliorare i fattori fondamentali che causano un buon engagement.
Invece di focalizzarti su come abbassare artificialmente il bounce rate o aumentare il tempo sul sito, concentra i tuoi sforzi sul rendere il tuo sito genuinamente migliore per gli utenti:
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Dunque, i segnali di coinvolgimento utente sono fattori di ranking? Non direttamente, ma sono indicatori preziosi della soddisfazione utente che Google considera in modi più complessi e indiretti per valutare l’efficacia dei suoi risultati.
Meglio smettere di preoccuparsi di manipolare metriche come il bounce rate e concentrarsi invece sulla costruzione di un sito veloce, facile da usare, affidabile e ricco di contenuti che rispondano veramente alle esigenze del pubblico.
Per approfondire quali sono i fattori su cui Google pone maggiore attenzione, ti invitiamo a consultare la nostra Guida ai fattori di Ranking Google e il nostro articolo sui miti SEO da sfatare.
Cosa ne pensi del ruolo dei segnali utente? Hai notato correlazioni interessanti sul tuo sito? Condividi la tua esperienza nei commenti!
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