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Come fa Google a misurare la qualità? Ce lo spiega la direttrice delle ricerche in persona

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Valeria Poropat

Costruire contenuti di qualità che rispondano ai bisogni degli utenti che fanno ricerche su Google. Fare in modo che questi contenuti siano scritti in una maniera chiara e che rispondano davvero a un bisogno.

Essere il più possibile capaci di far brillare le proprie conoscenze. In linea puramente teorica sappiamo tutti molto bene come funziona la ricerca di Google e come va costruito ciò che poi è oggetto delle ricerche.

Ma, dall’altra parte del vetro, l’algoritmo come fa a sapere che quello che abbiamo scritto è davvero utile e gli utenti lo trovano interessante? Una domanda a cui dà una risposta quella che forse è la persona che di Google Search ne sa di più in assoluto.

E l’algoritmo come fa?

Google ci vede. Ci vede quando stiamo producendo contenuti, ci vede quando quei contenuti sono originali e ci vede anche, benissimo, quando quei contenuti non sono tanto originali. Questa è la sensazione che chiunque si muova nella creazione di contenuti ogni volta che si preme sul pulsante Pubblica.

Ma il meccanismo che permette a Google di vedere e di valutare la qualità di ciò che c’è online non è frutto di una spia. In realtà è frutto di molte spie. A spiegare come funzionano le metriche e le valutazioni che la società della grande G fa, e che tanto peso hanno sulle performance di interi siti, Elizabeth Tucker Google Search Director.

L’occasione l’ultimo episodio di Off The Record, il podcast sempre ricchissimo di spunti che parlano proprio di come funziona Google, raccontandolo non per voci di corridoio ma andando là dove nessuno di noi può andare.

Andando a riassumere il modo in cui Google mette sul piatto della bilancia, come le divinità egizie, il contenuto che di volta in volta viene prodotto una serie di metriche che vengono dall’esperienza degli utenti e anche il feedback di valutatori umani che, in particolare, si occupano della rilevanza e della corrispondenza dei contenuti a quelle che sono le richieste delle ricerche.

Google valuta anche quello che gli utenti non dicono, le risposte nel podcast – sos-wp.it

In apertura del blocco in cui nel podcast si parla di questo argomento, Tucker fa però prima un’altra riflessione: una riflessione su quanto sia in realtà complicato far evolvere l’algoritmo e quindi migliorare le risposte alle richieste degli utenti.

E la colpa è proprio che Google è via via diventato sempre più bravo a rispondere. Gli utenti, consapevoli che l’algoritmo sembra capire anche le sfumature di quello che chiedono, effettivamente fanno domande sempre più complesse, con una serie di variabili sempre maggiore.

L’onere e l’onore di Google è a questo punto quello di riuscire a mantenersi sempre allo stesso passo dei suoi utenti. E a questo si aggiunge il fatto che la qualità, di per sé, è un concetto talmente tanto effimero e personale che persino Tucker ammette che ci sono alcuni limiti: “penso che una cosa importante che tutti dobbiamo riconoscere è che non tutto ciò che è importante è misurabile e che non tutto ciò che è misurabile è importante“.

C’è sempre, questo si legge in controluce, quel grado di discrepanza che è dato dal fattore umano. Non tutti gli esseri umani usano Google nello stesso modo e anche chi fa la stessa ricerca, lo abbiamo visto in passato, lo fa con scopi che possono essere diversi e cerca nelle risposte che gli vengono fornite cose diverse.

Per riuscire a comprendere meglio quello che passa nella testa di chi fa una domanda vengono per esempio utilizzati i sondaggi. Se ti è mai capitato di fare una ricerca con Google, ti sarai probabilmente accorto che, soprattutto con le funzioni un po’ più nuove come Google Lens, ti viene proposto di rispondere se i risultati che ti sono stati forniti sono o meno in linea con quello che cercavi, eventualmente spiegare perché sì o perché no.

Questo genere di attività aiuta la società della grande G a farsi una idea più chiara di quello che vuole la gente e, imparando, prova a rispondere. A questo si unisce anche tutto ciò che fanno i famosi valutatori umani per i quali esiste un lunghissimo file in formato PDF che li aiuta a capire se i risultati forniti dall’algoritmo nella loro attività di campionamento sono pertinenti oppure no.

L’ultimo arrivato, che rischia di prendere però il posto più comodo, è l’intelligenza artificiale. Qualcosa che, questo è il pensiero di Tucker, modificherà ancora di più il panorama delle ricerche e il modo in cui si può fare una ricerca e capire se si è data la risposta corretta.

A tutto ciò si uniscono poi quei dettagli che vanno a lavorare sulle metriche che abbiamo nominato più volte. Per esempio il tempo che un utente passa su una singola pagina del tuo sito web, quanto tempo passa prima che lo stesso utente cambi idea, chiuda la pagina e vada da un’altra parte, dove si concentra la sua attenzione, se vengono o meno cliccati link interni o se magari non si fa una capatina su un altro sito web.

Come accendere un faro

Nella selva crescente di contenuti di ogni tipo, forma e dimensione che popolano ormai la rete farsi trovare, dagli utenti e dall’algoritmo, diventa ovviamente ogni giorno più complesso.

Partendo però dalle parole di Tucker un primo modo per guardare alle performance di ciò che pubblichi è concentrarti su quelli che possono essere i risultati sul lungo periodo e non sul breve periodo. Potresti avere infatti bisogno di più tempo rispetto alla concorrenza per trovare un posto al sole ma nel momento in cui lo trovi diventi il re la montagna.

Di contro potresti trovarti con un successo (insperato) che però non dura. Facile intuire qual è il risultato che si cerca. Per questo occorrono contenuti che siano di qualità e non pubblicati a getto continuo. Riempire gli spazi con qualcosa che poi risulta vuoto crea infatti solo una situazione di momentaneo interesse, che però scema rapidamente e che finisce con il peggiorare la valutazione dell’algoritmo.

Ci sono poi da tenere presenti, come produttori di contenuti, quegli stessi cambiamenti nei comportamenti di ricerca degli utenti che anche chi gestisce l’algoritmo deve eseguire. Vale poi sempre la pena ricordare che, anche se forse può sembrare la strada più lunga, è sempre meglio cercare di costruire il contenuto più specifico possibile: da una parte aiuta a dimostrare che sei consapevole di quello di cui stai parlando e che sei in grado di farlo con cognizione di causa e dall’altro è anche un modo per rispondere a un reale e specifico bisogno che un utente potrebbe avere.

Attaccarsi solo alle ricerche generiche non produce infatti risultati solidi nel tempo. L’algoritmo cambia costantemente e noi, in qualità di produttori di contenuti per gli utenti, dobbiamo seguire questi cambiamenti cercando di imparare a nuotare, seguendo la corrente senza perdere la mappa che ci porta all’obiettivo finale. Alcuni fanno strade più lunghe, alcuni fanno strade più corte. L’importante è arrivare.

Valeria Poropat

Laureata in traduzione, Valeria adora da sempre la tecnologia in ogni sua forma e in particolare ai modi in cui la tecnologia può aiutare ad avvicinare le persone e stimolare la curiosità.

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