Il nostro prossimo futuro vedrà una presenza forse sempre più importante di una forma o un’altra di intelligenza artificiale. Ma come dobbiamo comportarci? Una serie di domande sta iniziando a porle il Governo degli Stati Uniti ai propri cittadini per sapere che cosa pensano.
Forse, proprio il fatto che siano stati coinvolti pubblicamente i cittadini e le cittadine americani per avere da loro un parere è il segnale più importante in questa fase del dibattito che riguarda l’utilizzo delle intelligenze artificiali nella generazione di contenuti, nella gestione di contenuti già prodotti e in generale nella automazione di alcuni compiti finora affidati agli esseri umani.
L’esplosione e le potenzialità probabilmente ancora non espresse del tutto, perché siamo agli inizi, di servizi come ChatGPT, Midjourney ma anche di ciò che si può fare con una semplice scansione tridimensionale ad altissima risoluzione di un essere umano hanno spaventato più di qualche gruppo di lavoratori. In particolare quelli che si occupano di produrre forme di creatività.
A tal proposito risulta emblematico il messaggio che l’attore americano Sean Penn ha affidato a una intervista, creando un paragone talmente tanto grottesco da chiarire bene cosa c’è in gioco. L’attore è infatti uno dei molti che sono contrari a che le scansioni tridimensionali di attori e attrici con in più le loro registrazioni vocali risentetizzate possano essere in qualche modo utilizzate al posto di una creatura in carne e ossa. E per far capire bene che cosa significa ha dichiarato pubblicamente di essere disposto a farsi scansionare se chi glielo chiede è disposto a sua volta a far scansionare fin dei minimi dettagli la propria figlia e a vendergli quella scansione tridimensionale. Anche senza arrivare all’esempio portato da Sean Penn è chiaro che la questione è piuttosto spinosa.
Prima di arrivare a guardare all’etica dell’utilizzo di una intelligenza artificiale al posto di un lavoratore umano solo per risparmiare, salvo poi probabilmente doversi comunque rivolgere a un essere umano per risolvere i problemi generati dal contenuto sintetico c’è tutta la questione del copyright.
A chi appartiene un articolo di giornale se quell’articolo di giornale è frutto di un giornalista, o di una persona comune, che chiede a un intelligenza artificiale di scrivere un certo numero di centinaia di parole riguardo a un argomento specifico o a un personaggio?
E a chi appartengono le immagini che gli artisti che ora creano tramite prompt su piattaforme come Midjourney, Bing AI e un domani su Photoshop Firefly?
Appartengono a chi è stato sfruttato per addestrare le intelligenze artificiali senza che gli venisse chiesto il permesso?
Appartengono a chi si è inventato il prompt?
O non appartengono a nessuno?
E nel caso non appartengano a nessuno, esattamente uno studio di produzione come può produrre un film da una sceneggiatura che non appartiene a nessuno?
E come si fa a vendere la stampa di un quadro se questo quadro è stato creato da una intelligenza artificiale e non appartiene a nessuno?
Occorre che ci sia una legislazione e una normativa con dei paletti precisi che identifichino cosa si può fare e cosa no e soprattutto che cosa può essere riconosciuto e che cosa no. Ma prima di decidere, anche se diversi tribunali americani hanno già detto la loro, il Governo e in particolare l’Ufficio dedicato al copyright degli Stati Uniti ha deciso di chiedere formalmente ai cittadini quali sono i loro dubbi proprio riguardo l’intelligenza artificiale.
Nel marzo del 2023 lo stesso Ufficio del copyright ha già prodotto una guida per registrare materiale che contiene elementi prodotti da un’intelligenza artificiale, chiarendo in parte quello che potrebbe essere un buon punto di vista e di partenza. Come si legge infatti nel documento con cui ora l’Ufficio chiede il parere dei cittadini: “secondo i casi stabiliti per legge il termine ‘autore’ esclude i non umani. […] Nel contesto della intelligenza artificiale generativa questo significa che se gli elementi tradizionali dell’autorialità di un lavoro sono prodotti da una macchina, il lavoro manca di un autore umano e l’ufficio non lo registra“.
Ma come già accennato, oltre al problema dell’utilizzo e della registrazione secondo i canoni classici del copyright di qualcosa che è stato prodotto con l’ausilio di un’intelligenza artificiale c’è anche tutta la questione su come trattare il materiale di partenza. Soprattutto quando, come nel caso più eclatante di ChatGPT ma non solo, l’intelligenza artificiale è stata addestrata utilizzando materiale che è formalmente coperto a sua volta da copyright.
Tra le fonti che più si sono fatte sentire e che hanno mostrato di essersi risentite per essere state trasformate in una sorta di libro degli esercizi c’è il New York Times, che minaccia addirittura un’azione legale contro Open AI. Ma non c’è bisogno di scomodare il New York Times perché, esattamente come le fonti più blasonate, di certo tutte le intelligenze artificiali generative sono state addestrate facendo uno scraping profondo e selvaggio di tutto ciò che c’è in rete, altrimenti non potrebbero produrre il genere di risposte che producono.
Probabilmente da qualche parte c’è un’intelligenza artificiale che sta leggendo quello che scriviamo e che magari potrebbe riproporlo tra qualche anno all’interno del dibattito così come si sarà costruito sul copyright e le intelligenze non umane. Ma speriamo che per allora si siano chiariti quei limiti sani e fisiologici che ogni strumento, soprattutto quando ha il potenziale che ha l’intelligenza artificiale, deve possedere perché tutti siano consapevoli di ciò che fanno.
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