Il consenso dell’utente sta diventando la nuova moneta digitale, ma non è facile trovare un equilibrio fra normativa sulla privacy e esperienza utente.
Possiamo considerare il consenso dell’utente come una vera e propria valuta? In un’intervista condotta da Lynne d Johnson ad Ashlea Cartee, Product Marketing Manager di OneTrust, si discute proprio di questo argomento, che sicuramente troverai molto interessante. Con le normative sulla privacy sempre più severe, il consenso diventa la valuta con cui i publisher riusciranno a guadagnarsi la fiducia del proprio pubblico.
Bisogna però stabilire quale sia un giusto scambio: cosa si può offrire in cambio del consenso all’utilizzo dei dati? Fornire esperienze personalizzate e contenuti su misura in base alle preferenze dell’utente potrebbero essere dei metodi efficaci per creare il giusto valore.
Durante l’intervista, emerge l’importanza di trovare un equilibrio tra il controllo della propria privacy da parte dell’utente e la necessità di fornire esperienze personalizzate. Ashlea Cartee affronta delle tematiche molto importanti, tra cui l’“affaticamento da consenso e i dati di “zero-party”.
L’esperienza dell’utente è la chiave
L’affaticamento da consenso è il senso di frustrazione che provano gli utenti nel fornire continuamente il proprio consenso all’utilizzo dei dati personali, ai cookie e ad altri sistemi di tracciamento. La qualità dell’interazione inevitabilmente ne risente, la fiducia dell’utente potrebbe diminuire e di conseguenza i ricavi del publisher potrebbero subire un impatto negativo.
“L’esperienza dell’utente è la chiave”, afferma Cartee. Infatti, ritiene che l’esperienza dell’utente sia un vantaggio competitivo fondamentale, perciò è necessario riuscire a richiedere le informazioni senza diventare troppo invasivi. Il consumatore dovrebbe essere sempre al centro del processo, quindi la strategia da sviluppare consiste nel fornire una giusta esperienza in base al tipo di relazione che si vuole costruire.
Per quanto riguarda il concetto di “zero-party”, Cartee spiega che si tratta di informazioni fornite direttamente dall’utente e riguardano un momento preciso della sua vita. I dati di prima parte sono invece raccolti in modo implicito attraverso l’interazione con un sito web o una piattaforma. I dati di “zero-party” hanno quindi un grande valore e possono aiutare a creare esperienze molto personalizzate.
L’intervista con Ashlea Cartee, pubblicata sul sito di AdMonster, mette quindi in luce delle questioni molto importanti e delicate riguardo alle sfide che oggi le aziende si ritrovano ad affrontare per costruire un rapporto solido e duraturo con il proprio pubblico.