Siamo abituati che alcuni servizi sono disponibili gratuitamente agli utenti della rete. Ma abbiamo anche imparato rapidamente che su internet non esiste niente che sia veramente gratuito.
Un esempio eclatante di ciò sono i motori di ricerca e i social. Gli uni e gli altri, in vario modo, vivono di quello che noi come utenti diamo loro. I nostri dati personali. Che poi vengono utilizzati e impacchettati, (rivenduti a volte).
Ma è un dato di fatto su cui è difficile operare. Nel novero dei servizi a pagamento potremmo tra non molto dover inserire anche qualcosa che riguarda da molto vicino Google. Si tratta per ora di un report che raccoglie voci di corridoio piuttosto sostanziose ma lontane dall’annuncio ufficiale. È comunque un modo per riflettere su come siamo abituati a vedere la rete e su come tutto cambierà nel momento in cui l’intelligenza artificiale entrerà a pieno regime in ogni pertugio della nostra esistenza digitale non.
La ricerca coi superpoteri a pagamento?
Che i modelli di intelligenza artificiale generativa abbiano un costo e che questo costo debba essere in qualche modo ammortizzato anche andando a pescare nel portafoglio degli utenti è un dato di fatto. A sdoganare l’idea ci ha pensato OpenAI con la sua versione plus di ChatGPT.
Tutti o quasi i servizi di intelligenza artificiale generativa hanno implementato qualcosa che assomiglia a forme variegate di abbonamento, limitando l’utilizzo gratuito oppure riducendo il numero delle funzioni per chi non paga. Google con il suo nuovo, sontuoso, stratosferico progetto Gemini sembra indirizzata sulla stessa linea di OpenAI. A riportare queste voci di corridoio i colleghi del Financial Times. In una prima volta che sarebbe per Google una prima volta assoluta, ci sarebbe l’intenzione di mettere almeno una parte dell’esperienza di ricerca, proprio quella potenziata dall’intelligenza artificiale di Gemini, a pagamento.
Ma quanto è effettivamente rivoluzionaria questa idea? Se pensiamo che anche Samsung, forse in maniera sotterranea, ci ha detto che i servizi di intelligenza artificiale sui nuovi smartphone Galaxy saranno gratuiti ma solo intanto fino alla fine del 2025 e poi si vedrà, è chiaro che tutte le società coinvolte nella nuova grande corsa ai cervelli digitali si lasciano uno spazio in cui infilare un cartellino del prezzo.
Un prezzo che sarebbe giustificato e giustificabile dal fatto che, secondo un altro report stavolta di Reuters, una singola ricerca fatta attraverso i sistemi di Gemini costa 10 volte le risorse di una ricerca tradizionale. Come per altro che si muove in rete, quindi, potremmo trovarci con un Google Search Basic e un Google Search Premium, in cui l’essere umano viene aiutato dall’intelligenza artificiale. Altri aspetti di Google hanno già una versione plus a pagamento in cui si possono utilizzare i servizi di una IA: un esempio su tutti è Google Wordspace con Google One.
Circle To Search o Cirque de la Search?
Torniamo alla nostra premessa: niente su internet è gratis.
Il motore di ricerca di Google come si tiene in piedi allora? Con gli spazi pubblicitari che vengono venduti in lungo e in largo a chi ne fa richiesta. Ma proprio questo modello che si autoalimenta senza che, all’apparenza almeno, gli utenti facciano nulla rischia di implodere, colpito nelle fondamenta proprio da quella rivoluzione che Google cerca di rincorrere a tutti i costi.
Abbiamo visto gli esperimenti più recenti riguardo la nuova esperienza di ricerca in cui, ponendo una domanda, l’intelligenza artificiale di Gemini fornisce tutte le informazioni andandole a grattare via dagli altri siti web che però, così facendo, non ricevono più visite. E già questo è un problema che dentro la società della grande G qualcuno dovrà affrontare.
Come monetizzano i siti se non vengono visitati?
Come vengono premiati i contenuti migliori se non ci sono visite?
Dalla sua posizione estremamente privilegiata, Google ha nelle mani non solo il proprio futuro ma anche buona parte del futuro delle ricerche online e di tanti produttori di contenuti e gestori di siti web, che si sono adeguati al modo in cui la grande G ha scritto le sue regole. Un cambiamento che dovesse in qualche modo introdurre in maniera più importante una intelligenza artificiale nell’esperienza di ricerca, che sia a pagamento o gratuita con la pubblicità non importa, rischia di avere effetti dirompenti sull’ambiente digitale nel suo complesso.
Ma fin qui abbiamo ragionato in un ambiente Google-centrico. Proviamo a cambiare punto di vista per ribaltare questa idea. Potremmo anche assistere al lento declino del motore di ricerca della grande G a favore di altri modelli, di altri operatori che (per fare un nome Microsoft con Bing) aspettano ancora di avere la loro grande occasione? E non va dimenticata tutta la selva di altri motori di ricerca che potrebbe veder ampliato il proprio numero di utenti con quelli che, e sono commenti che si moltiplicano online, non vogliono avere nulla a che fare con l’Ai di Google.