Si torna a parlare di intelligenza artificiale e in particolare ChatGPT, il prodotto di OpenAI che a quanto pare potrebbe rischiare di essere cancellata del tutto.
Il mondo sta cercando di navigare la novità più importante dell’anno, e forse di almeno il prossimo decennio: l’introduzione su larga scala dei sistemi con intelligenza artificiale. Alfiere della rivoluzione delle macchine che parlano, o meglio la prima società a pubblicare e a rendere disponibile un sistema di intelligenza artificiale generativa, è stata OpenAI.
E ChatGPT per tanti è diventato sinonimo proprio di intelligenza artificiale. Il modo in cui però alcuni percepiscono la presenza di questo genere di intelligenze artificiali, che imparano perché gli vengono mostrati e somministrati testi e immagini prodotti dall’intelligenza umana, ha creato un moto molto diffuso di sdegno nei confronti di ciò che le IA producono. C’è per esempio chi dibatte riguardo il considerare o meno il copyright se c’è una immagine che è stata prodotta utilizzando un’intelligenza artificiale generativa.
A tal proposito si possono ricordare almeno due sentenze di due giudici distinti negli Stati Uniti che hanno sentenziato che no, l’arte fatta con l’intelligenza artificiale non può essere protetta da copyright. In attesa di sapere se può essere la stessa fine che faranno anche le opere cosiddette letterarie prodotte attraverso l’intelligenza artificiale c’è da vedere se sarà ancora disponibile proprio ChatGPT, perché una delle più grandi società di informazione del pianeta ha deciso di fare causa a OpenAI. Il motivo? Proprio il modo in cui è stata allenata la IA.
La possibile violazione del copyright che rischia di mandare gambe all’aria ChatGPT
Non è ancora stato fatto nessun effettivo passo verso una qualunque corte o tribunale ma secondo quanto riportato da NPR all’interno dello staff del The New York Times si sta parlando proprio del fatto se sia o meno il caso di portare OpenAI in tribunale per violazione del copyright. La questione riguarda il modo in cui l’intelligenza artificiale di OpenAI è stata addestrata a fornire le risposte che ora, in una fascia molto ampia di lingue di tutto il mondo, produce apparentemente senza sforzo.
Il profilo di una infrazione al copyright potrebbe portare, se la tesi eventualmente portata in tribunale dagli avvocati del The New York Times venisse accolta, ad una multa che può raggiungere i 150 mila dollari per ciascuna infrazione “volontaria“. Ed è proprio il problema del copyright che torna quindi in maniera importante. Ma, sempre nel caso in cui un giudice dovessi accogliere l’eventuale istanza presentata dai legali del The New York Times, ad essere nei guai potrebbe non essere solo ChatGPT e potrebbe non essere solo OpenAI.
Perché altre società, come per esempio Microsoft, sfruttano proprio il prodotto di OpenAI all’interno del proprio Bing con i superpoteri. Se si dovesse stabilire che OpenAI ha volutamente prodotto infrazioni al copyright fornendo alla propria intelligenza artificiale materiale che non avrebbe dovuto utilizzare per poi rivomitarlo imbastardito e rimescolato, la società potrebbe essere costretta a fare shift canc alla propria creatura. E se dovesse sparire ChatGPT rischiano di sparire con essa anche tutti i prodotti che possiamo definire derivati dalla stessa intelligenza artificiale, compresa proprio forse anche Bing AI.
Secondo alcuni esperti che stanno studiando proprio il nuovo campo del diritto e del copyright applicato alle intelligenze artificiali il problema rimarrà per anni, almeno fino a quando le società stesse non riusciranno a trovare un modo per negoziare una soluzione con tutti gli autori, non solo quelli del The New York Times, che non sono per niente d’accordo nell’essersi trasformati in materiale da palestra. Accanto alla possibile azione legale del The New York Times c’è infatti per esempio una lettera aperta che una valanga di autori internazionali hanno firmato per chiedere proprio a Meta e a OpenAI di smetterla di utilizzare i loro lavori senza permesso.