ChatGPT sta lentamente prendendo posto nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di fare SEO, di chi ha necessità di produrre contenuti per animare una presenza online e anche per chi ha bisogno di un feedback e non ha altri esseri umani sotto mano.
Ma nel futuro potrebbe l’intelligenza artificiale prodotta da OpenAI, e con lei tutte le altre intelligenze artificiali, trasformarsi in nuovi motori di ricerca per i quali occorre trovare strategie con cui migliorare il proprio ranking per essere nella lista dei suggerimenti?
Sembra una domanda fuori dal mondo eppure fino a qualche anno fa anche l’idea che si potesse chiedere ad una macchina di scrivere un romanzo, seppur scalcinato e scopiazzato (cosa che tante volte non è dissimile da quello che succede con gli autori umani) sembrava assolutamente impossibile e anzi qualcosa da fantascienza.
Eppure ChatGPT, Bing AI e tutti gli altri strumenti sono qui, iniziano a farci compagnia e qualcuno ha anche cominciato a farci seriamente amicizia. È per questo motivo che risulta estremamente interessante l’esperimento che il noto esperto di SEO e traffico Neil Patel ha voluto fare proprio andando a vedere se ChatGPT può in qualche modo essere influenzato quando deve dare consigli.
Come ChatGPT sceglie chi raccomandare e chi no?
Se hai mai provato, ed è un consiglio che ti diamo, a parlare con ChatGPT anche solo per capire di che cosa si parla quando si parla di intelligenza artificiale generativa è probabile che tu abbia cominciato con qualche domanda forse posta un po’ a caso. Tra i nostri esperimenti più divertenti c’è per esempio quello di aver provato a domandare all’intelligenza artificiale come si sentiva e ovviamente la risposta è stata che non prova nessun tipo di emozione dato che si tratta di un modello linguistico.
Altre volte abbiamo provato invece a chiedere a ChatGPT di simulare le didascalie per alcuni post sui social e i risultati, con la giusta dose di informazioni di partenza, sono stati più che soddisfacenti e addirittura contornati da divertenti emoji perfettamente in linea con il tono che le didascalie dovevano avere. E poi ci sono persone come Neil Patel che si mettono davanti al computer e l’esperimento che cercano di fare è quello di provare a capire in che modo ChatGPT decida, nel momento in cui gli viene chiesto un consiglio, quali società e quali personaggi nominare e chi invece lasciare fuori dalla lista. Il lavoro di Patel si è composto di una serie di domande sempre più precise poste all’intelligenza artificiale in maniera tale da capire come lavora. La domanda di partenza è stata “quale agenzia di pubblicità mi raccomanderesti?“.
La domanda è risultata troppo generica e infatti la risposta era pressoché inutile. Al che la domanda è diventata un po’ più specifica e ha messo in campo l’idea di trovare un’agenzia in grado di aiutare con la SEO. Ed ecco che sono spuntati dei nomi. E al secondo posto c’era l’agenzia di Patel stesso. La domanda è poi diventata cercare di capire come piazzarsi in una lista che, bene o male ma non perfettamente, può soddisfare i bisogni di chi cerca aiuto con la SEO. Continuando a fare domande per cercare di capire in che modo ChatGPT abbia deciso di mostrare quei nomi piuttosto che altri sono usciti fuori alcuni valori che sono poi stati analizzati più nel dettaglio.
I sei fattori di ChatGPT quando gioca a fare l’algoritmo
Dall’analisi è emerso che ci sono sei fattori principali che ChatGPT analizza e valuta quando si tratta di dare consigli. Questi sei fattori sono: brand mentions, ovvero le volte che un brand viene nominato in tutto lo internet, le recensioni, la rilevanza, l‘età, le raccomandazioni e l’autorità. In cima alla lista in termini di peso percentuale ci sono la rilevanza e le volte in cui un brand viene nominato. Il che significa che per riuscire ad essere in qualche modo nei pensieri di ChatGPT occorre innanzitutto avere delle keyword rilevanti utilizzate con attenzione all’interno dei contenuti, in modo tale che nel momento in cui viene effettuata la ricerca quelle keyword corrispondono alle richieste dell’eventuale utente. (Suona familiare? Aspetta perché c’è dell’altro).
E poi c’è la questione delle menzioni, ovvero di tutte quelle volte che una società viene nominata. E in questo caso è chiaro che riuscire ad essere conosciuti aumenta le possibilità di essere trovati. Importante è anche la quantità e la qualità delle recensioni che devono essere ovviamente più positive possibili per spiccare rispetto alla concorrenza. Gli altri fattori, in percentuale un po’ meno preponderanti ma comunque interessante, sono l’età ovvero gli anni di servizio e di esistenza di una società o di un prodotto, l’autorità ovvero qual è la domain authority per esempio, dove vengono nominati i prodotti o servizi della società e quello che ruota sui social intorno alle attività proposte.
Fa riflettere soprattutto il valore dato all’età: più vecchio, e quindi in un certo senso rodato e conosciuto, un prodotto o una società risulta essere è più facile è finire tra le raccomandazioni di ChatGPT. Per quello che riguarda le raccomandazioni, si tratta ovviamente di tutte quelle volte in cui su qualche sito, a pagamento o no, una tale realtà, un prodotto o un servizio vengono nominati e potrebbe questo essere l’unico fattore anomalo dato che può anche essere influenzato con attività poco oneste. Ma per fortuna, guardando anche il grafico prodotto dagli analisti di Patel, risulta che le raccomandazioni hanno il peso più basso in percentuale tra i sei fattori che convincono ChatGPT a raccomandare una società piuttosto che un’altra o un prodotto piuttosto che un altro.
Fare SEO per l’intelligenza artificiale si può, ma conviene?
Lavorare sulla SEO in base a quelle che sono le richieste di Google è ormai un automatismo che le agenzie e gli esperti attivano senza neanche rendersene più conto. Ma l’esperimento fatto da Neil Patel con ChatGPT ci permette anche di guardare alla questione della SEO da altri punti di vista. E infatti nel post sul blog in cui Patel racconta di questo esperimento, lui stesso ricorda che non esiste solo la SEO di Google o di Bing ma che per esempio si può lavorare per la SEO dei social e, da ultimo, anche per la SEO per piacere di più a ChatGPT.
Ma se si va a guardare a quello che influenza ChatGPT se deve dare un consiglio risulta evidente come si tratti di quegli stessi fattori che in realtà influenzano la SEO ovunque. Perché una buona SEO è una SEO che ti permette di essere rilevante ovvero di apparire più spesso nelle ricerche anche fatte semplicemente attraverso un classico motore di ricerca. Per concludere vorremmo fare un’ultima riflessione scaturita da alcuni commenti che, giustamente, fanno notare come in realtà la base di lavoro di ChatGPT che adesso è possibile utilizzare è ferma al 2021, il che significa che anche se si iniziasse adesso a lavorare ad una SEO amica di ChatGPT non si avrebbero benefici immediati. Una realtà che è cambiata in corsa dopo che OpenAI ha annunciato che ora la sua intelligenza artificiale può navigare in Rete e offrire risultati con informazioni in tempo reale. Ma questa novità non toglie nulla al commento originale ma, soprattutto, non toglie nulla alla risposta di Patel.
Patel che risponde in un modo che ribadisce quello che è il fulcro di ogni attività di SEO: lavori oggi per avere successo domani anche se questo domani potrebbe arrivare tra un anno. Perché la SEO funziona esattamente in questo modo: per avere risultati stabili, positivi e che siano solidi occorre tempo, perché occorre che che gli algoritmi si rendano conto della bontà effettiva dei contenuti di un certo sito e dei prodotti di una certa azienda. I successi stellari immediati sono spesso destinati a trasformarsi in crolli miseri con la stessa velocità con cui si sono verificati.