Esiste una alternativa al modello Consent or Pay su cui anche il Garante vuole tempo per riflettere?

Esiste una alternativa al modello consent or pay su cui anche il Garante vuole tempo per riflettere?
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Il modello Consent or Pay, che possiamo tradurre con accetta o paga, è il modello ora più usato da chi gestisce siti web per continuare ad avere una attività che generi profitto. Ma i dubbi crescono. Ci sono alternative?

Su un numero sempre più crescente di siti web che si visitano ogni giorno, nel momento in cui appare il pop-up del trattamento dei dati personali, le opzioni si riducono a due: si può accettare la profilazione completa e quindi la raccolta di tutti i dati personali possibili nel momento in cui si naviga, per vedersi poi propinare pubblicità targettizzate, oppure si può accettare di abbonarsi o comunque di pagare una somma variabile per accedere ai contenuti senza la pubblicità e senza la profilazione.

In alcune situazioni si può scegliere di avere solo una invasione minima della propria privacy, ma ci sono interi portali, molto spesso anche di grandi o grandissime dimensioni, per i quali o si accetta in toto di lasciarsi investire dalla pubblicità targettizzata oppure si accetta di pagare l’abbonamento, pena la non fruizione di nessuno dei contenuti. Intorno a questo modello, che generalmente viene chiamato Consent or Pay, si sta continuando a discutere.

Tornando indietro per esempio all’anno scorso, si trova sul sito ufficiale dello European Data Protection Board (EDPB) il resoconto di un intervento datato 17 aprile che riguarda un parere sull’articolo 64 paragrafo 2 del GDPR da parte delle autorità olandesi, norvegesi e di Amburgo in materia di protezione dei dati personali.

In quell’occasione il Board si è trovato a esprimere un parere proprio riguardo la validità “del consenso al trattamento dei dati personali ai fini della pubblicità comportamentale nel contesto di modelli di Consent or Pay”. Il parere dell’EDPB è stato che ci dovrebbe essere per gli utenti “una scelta reale”, dato che “i modelli che abbiamo oggi di solito richiedono alle persone di dare via tutti i loro dati o di pagare”.

E questa è una decisione, prosegue il parere del Board, che porta gli utenti a consentire al trattamento dei propri dati personali ai fini pubblicitari ma senza essere realmente consapevoli di quello che significa.

Viene anche suggerita quella che potrebbe essere una terza alternativa. Un’alternativa che, viene ancora ribadito nel parere, dovrebbe essere adottata proprio da quelle piattaforme online di grandi dimensioni.

Vedremo tra poco qual è questa alternativa.

Ma per avere un quadro completo andiamo avanti nel tempo e arriviamo a quest’anno, quando il Garante per la protezione dei dati personali italiano ha aperto lo scorso 29 aprile una consultazione pubblica per “acquisire contributi, osservazioni e proposte riguardo l’implementazione di modelli di Pay or Ok”.

Andando a guardare le motivazioni che hanno in un certo senso obbligato il Garante ad aprire la consultazione, si legge che per esempio questo modello si sta diffondendo molto rapidamente e che ci sono state tantissime lamentele da parte degli interessati che hanno sperimentato sulla propria pelle un “generalizzato impatto sui diritti” e che quindi è necessario affrontare il problema dei modelli Consent or Pay riguardo alla protezione dei dati personali “innanzitutto in termini di libertà di scelta degli utenti, specificità del consenso, trasparenza, libertà di impresa e sostenibilità dei modelli economici digitali”.

Il tassello più recente è quello che riguarda alcune associazioni europee degli editori che invece sostengono che il modello Consent or Pay sia legittimo e anzi in un certo senso addirittura indispensabile, tra l’altro già riconosciuto come attuabile dalla Corte di Giustizia Europea.

Che cos’è il modello Consent or Pay e perché ora sembra onnipresente?

Ora che abbiamo visto bene o male gli ultimi sviluppi in termini di discorso intorno al Consent or Pay, cerchiamo di capire che cos’è nella pratica.

Si tratta di un modello in cui i gestori di siti web, consapevoli dell’importanza del mantenere il proprio business attivo anche attraverso la pubblicità targettizzata, offrono agli utenti due opzioni: da una parte si può decidere di permettere la profilazione completa con un utilizzo gratuito dei contenuti, oppure si può decidere di pagare una somma variabile che può o meno permettere di fruire di una certa quantità di contenuti senza avere pubblicità personalizzata.

Sulla carta sembra un modello che in realtà permette all’utente di decidere come sostenere i siti web che, magari anche ogni giorno, vengono visitati.

Abbiamo imparato da tempo l’importanza del sapere cosa succede ai propri dati personali e per esempio è per questo motivo che ora esistono i modelli di consenso che appaiono a ogni visita su siti per i quali non abbiamo ancora preso mai una decisione.

Ma fino a non troppo tempo fa si poteva decidere di non avere nessun tipo di profilazione e continuare a fruire dei contenuti senza nessun intoppo.

Semplicemente le pubblicità erano generiche e il titolare del sito web non raccoglieva nessun dato personale. Adesso invece, con il nuovo dilagante modello Consent or Pay, sembra essere in un certo senso di tornare indietro a quel momento in cui l’accettazione della profilazione sembrava automatica.

Per i gestori dei siti web l’implementazione di un modello Consent or Pay garantisce l’arrivo di risorse economiche in un senso o nell’altro. Per gli utenti si tratta invece molte volte di un fastidio che si risolve alla vecchia maniera: accettando la profilazione.

Quella che si è aperta in Europa è quindi una discussione che non riguarda semplicemente i cookie quanto il modo stesso in cui gli utenti percepiscono di poter usufruire della rete.

Dopo che addirittura servizi come Facebook ora richiedono un abbonamento mensile per non ricevere pubblicità targettizzate, è chiaro che il modello di business generale della rete sembra stare cambiando. Motivo per cui è necessario controllare da subito se il modo in cui il modello Consent or Pay che viene ora implementato da più parti è ragionevole, se possono esistere delle alternative e se, in effetti, è la soluzione migliore.

Nel pieno della discussione

Come accennavamo prima, in realtà è più di un anno che si discute sul modo in cui il modello Consent or Pay viene implementato.

La dimostrazione viene dal fatto che il parere del Board sui dati personali europeo risale ad aprile 2024. E il fatto che non sia stata sufficiente quella pronuncia lo vediamo nella consultazione avviata dal Garante italiano, cui in un senso trasversale hanno risposto e stanno rispondendo i membri di EMMA e di ENPA, ovvero due delle associazioni che raccolgono gli editori europei.

Secondo gli editori il modello Consent or Pay è legittimo per monetizzare i contenuti editoriali che si trovano online e allo stesso tempo garantisce comunque agli utenti la libertà di scegliere.

È chiaro che, soprattutto nel momento storico che viviamo, sono proprio le realtà che forniscono informazioni quelle più minacciate dai cambiamenti repentini nelle abitudini degli utenti.

Il modello Consent or Pay sembra quindi essere quello migliore in assoluto, dato che il prezzo che viene richiesto al singolo utente è irrisorio e l’idea che si possa pagare con i propri dati personali non pare essere, a sua volta, troppo problematica.

Ma ora che siamo di fronte a una vera e propria invasione di siti web che hanno deciso di attivare questa modalità, è chiaro che gli utenti si trovano ora con le proverbiali spalle al muro e si rischia, paradossalmente, di perdere tutto il traffico potenziale e quindi tutti i guadagni potenziali che dall’implementazione del modello Consent or Pay ci si aspetterebbe di avere.

I siti che permettono ancora di scegliere per esempio quali biscottini digitali accettare e quali no potrebbero essere quelli più remunerativi, mentre gli editori che adottano in modo aggressivo il modello Consent or Pay rischiano di vedere vanificati gli sforzi di questa strategia.

Per non parlare del fatto che, e lo abbiamo registrato, stanno lentamente prendendo piede tra le abitudini degli utenti anche i browser che bloccano cookie e pubblicità, vanificando ulteriormente qualunque strategia che contempli questo genere di monetizzazione.

Motivo per cui la domanda è se può esistere una qualche terza via, un’alternativa che consenta comunque ai gestori di siti web di prosperare ma che permetta allo stesso tempo agli utenti di poter scegliere davvero.

E qui si pone l’idea, che abbiamo volutamente lasciato per ultima, che si trova all’interno del famoso parere pubblicato dal Board europeo per la protezione dei dati l’anno scorso.

dubbi e alternative al consent or pay

Se il modello Consent or Pay non funziona?

Fin da subito, non ci fosse stata la sensazione che quello che c’è in rete è fruibile gratuitamente, probabilmente non ci troveremmo a discutere sulla monetizzazione nei termini in cui la discussione si sta svolgendo.

Perché se non avessimo avuto, agli albori della rete, l’impressione che era tutto possibile, tutto facile e tutto a portata di mano (esclusa la pirateria informatica), forse avremmo generalmente accettato in modo migliore l’idea di creare dei mini abbonamenti per continuare a leggere le notizie sui siti preferiti.

Per tanto tempo, però, la rete è sembrata gratuita e quindi ora che il modello di monetizzazione più in voga rimette al centro il denaro contante gli utenti mostrano sofferenza. Eppure il modello del Consent or Pay sembra effettivamente quello più facile da implementare.

Volendo però fare l’avvocato del diavolo, c’è da ricordare la quantità sterminata di siti web che offrono informazioni e non che si trovano online e la quantità altrettanto enorme di siti web che vengono visitati ogni minuto.

Seguendo il modello Consent or Pay, se l’utente medio dovesse decidere che non ha nessuna intenzione di lasciarsi bombardare dalla pubblicità targettizzata e quindi è disposto a pagare, è chiaro che ci si troverebbe con decine di euro di abbonamento per guardare contenuti con un ritmo che di certo non giustifica, agli occhi dell’utente, la spesa mensile.

Questo è un primo limite molto importante dei modelli Consent or Pay. Funzionano se li si guarda per il sito web singolo, ma se si guarda all’esperienza dell’utente, è chiaro che diventano solo un’inutile nuova spesa. Siamo già tutti abbastanza abituati agli abbonamenti ma su internet e per le informazioni forse ancora è presto.

Quale può essere un’alternativa?

Andando a leggere il parere dell’EDPB, c’è un’idea che potrebbe essere presa in considerazione, fatta un’opportuna premessa: i titolari del trattamento dei dati personali, quindi i gestori di siti web, dovrebbero sempre cercare di evitare di far sì che il diritto fondamentale che gli utenti hanno di proteggere i propri dati personali diventi un diritto a pagamento.

Fatta questa dovuta premessa, quello che viene suggerito nel parere dell’EDPB è di creare una reale alternativa equivalente a quella del pagamento per la fruizione senza pubblicità.

L’idea potrebbe essere quella di ridurre la quantità di dati personali che vengono raccolti e utilizzati per la profilazione, oppure decidere di permettere agli utenti di vedere pubblicità non targettizzata.

Potrebbe sembrare un’eresia permettere agli utenti di scegliere se vogliono farsi profilare, pagare o se non vogliono farsi profilare e non vogliono pagare, perché chiunque sceglierebbe la terza opzione.

Ma c’è da tenere presente quello che dicevamo prima, ovvero che il modello Consent or Pay si sta diffondendo talmente tanto che gli utenti potrebbero sentirsi respinti, perché costretti ad aprire il portafoglio o a lasciarsi scannerizzare fino dentro i pori della pelle.

Se stai cercando un modello di monetizzazione che funzioni, forse è il caso di valutare se vuoi implementare delle alternative più soft ma altrettanto remunerative per te rispetto a un modello tranchant Consent or Pay.

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