Se ne sono accorti molti utenti e hanno diffuso il proprio disappunto online. Ma in realtà l’annuncio sulla cache di Google e sulla sua fine era stato pubblicato da diverso tempo.
Solo che, come succede spesso con quello che riguarda la società della grande G, non c’erano tempistiche precise. Adesso, a distanza di 9 mesi, l’annuncio si è trasformato in realtà.
La cache di Google, questo leggiamo per esempio in un post sull’account ufficiale Google Search Liaison su X, aveva senso nel passato ma adesso la situazione dei siti web è cambiata in maniera positiva e non c’è quindi più necessità di utilizzare l’operatore (e lo spazio) a favore di altre cose. Quali sono queste altre cose?
Cosa puoi fare ora che la cache di Google non c’è più
La discussione riguardo la cache di Google ha visto le prime avvisaglie e i primi scambi alla fine dell’anno scorso. Era poi arrivata la conferma, sempre attraverso i social, che effettivamente c’era l’intenzione di dismettere l’operatore cache:.
In questi giorni l’operatore ha smesso di funzionare. Provando a cercare la versione cache di un qualunque sito quello che si ottiene è una pagina senza risultati con il bigfoot che pesca nei ghiacci. L’utilizzo della cache serviva nel passato per permettere agli utenti di guardare ai siti come a degli esseri in evoluzione.
Alcune volte, i giornalisti hanno per esempio utilizzato le versioni cache dei siti web per rintracciare piccole o grandi magagne che i proprietari dei siti stessi hanno provato a nascondere cambiando magari testi o immagini.
Lo scopo delle versioni cache è principalmente quello di tornare indietro nel tempo ma, nel passato, l’utilizzo era anche quello di permettere, in caso di problemi di rete, di avere per le mani quanto meno una versione del sito web che si stava cercando.
Ora questo non è più possibile, “sì, è stato rimosso” si legge in un messaggio pubblicato più di recente sull’account Google Search Liaison. E la domanda, per chi si affidava alla SERP per esaminare anche le versioni cache dei siti web è: qual è l’alternativa?
Quella suggerita direttamente da Google è The Internet Archive e la loro Wayback Machine. A quanto pare c’è un accordo, si legge sempre nella discussione che si era aperta a febbraio sul social di Elon Musk, tra Google e The Internet Archive per reindirizzare gli utenti in cerca delle versioni cache dei siti web verso il servizio che svolge la piattaforma.
E non c’è solo la Wayback Machine. Un altro modo per accedere alle versioni precedenti di un sito è quello di passare attraverso la Google Search Console e utilizzare il servizio URL Inspector. È chiaro però che il servizio URL Inspector funziona solo se si esaminano i siti web che si possiedono e che sono collegati al proprio account.
Extrema ratio, c’è anche la possibilità di provare ad utilizzare la versione cache dei siti negli altri motori di ricerca. Ma perché ci sono tanti che si sentono defraudati ora che il servizio di cache di Google non c’è più?
Oltre a ficcare il naso nei siti web altrui per scoprire le magagne, seguendo la discussione che si è aperta a proposito su Black Hat World c’è una rapida disamina di quello che si poteva fare con le versioni cache attraverso la SERP di Google.
Per esempio, vedere quanto spesso i bot fanno il crawling della homepage di un determinato sito per vedere se riceve una buona quantità di attenzione. Qualcosa che si può ottenere anche con altri tool ma che, attraverso una semplice stringa di ricerca, diventava immediato e subito intellegibile.
In generale, poteva essere utilizzato per controllare se i contenuti del proprio sito venivano indicizzati correttamente oppure no. Vari altri utilizzi che venivano fatti con l’operatore cache: di Google erano anche interessanti per la sicurezza.
Utilizzando l’operatore era infatti possibile controllare se venivano portate avanti operazione di cloaking, ovvero il nascondere una pagina all’indirizzo che dovrebbe portare ad un’altra pagina. In più poteva essere un ottimo modo per recuperare contenuti andati persi e esaminare il modo in cui i competitor di una determinata nicchia cambiavano i contenuti dei propri siti web.